Articolo GENOVAPOST: Impossible sites

Impossible sites: arte pubblica per socialità in allarme

Impossible sites nasce nel 2006 dalla volontà di due giovani artiste liguri: Giuditta Nelli, artista di arte pubblica e Tiziana Manfredi, pittrice e scenografa. È un progetto che si concentra, attraverso i linguaggi dell’arte contemporanea, sull’osservazione delle relazioni tra abitanti e delle dinamiche che intercorrono tra la strada e coloro che la vivono. Il coinvolgimento diretto dei cittadini sollecita una lettura differente degli spazi vissuti, ne palesa i punti di vista e invita alla riflessione sull’abitare e il condividere lo spazio pubblico.

I LUOGHI IMPOSSIBILI – Nel 2008 Giuditta crea IMPOSSIBLE SITES dans la rue, un collettivo che prosegue nell’indagine dello spazio umano e urbano per scoprire e superare i luoghi impossibili, fisici ed emotivi. Il collettivo ha lavorato con ragazzi di strada, collaborato con centri di quartiere (anche quartieri difficili, come quello di Scampia nella periferia di Napoli), organizzato laboratori in strutture di accoglienza per minori con disabilità mentali e fisiche, ma anche nelle scuole e con gruppi informali. «Ho sempre pensato – spiega Giuditta Nelli – che l’arte dovesse diventare uno strumento nelle mani del suo fruitore; ed ho sempre ritenuto che la forma d’arte più adatta a rendersi mezzo fosse la public art, nella sua manifestazione più originale e lontana dalle implicazioni da galleria. Ho sempre pensato, poi, che ciascuno di noi – a suo modo abitante – avesse il dovere etico e politico di prendersi cura di problematiche sociali, normalmente evidenti, ma spesso trascurate».
La prima realizzazione del progetto si svolge nel 2007 in Senegal e si dedica agli spazi inaccessibili fisicamente per chi abbia disabilità motorie. Nel 2008, sempre a Dakar, Impossible site si pone l’obiettivo di offrire una diversa chiave di lettura delle problematiche legate al disagio mentale.
«Da allora il progetto si è evoluto, ha incontrato altri protagonisti, ha mantenuto fede alla sua volontà di indagare e vincere socialità in allarme: ha inserito il laboratorio urbano come ulteriore strumento, per creare una progettualità più profonda e lasciare tracce più solide, e – soprattutto – si è dedicato a molteplici luoghi impossibili, fisici ed emotivi, visibili ed invisibili. Ora il progetto si propone di scendere dans la rue anche in Marocco, in collaborazione con associazioni di sostegno ai ragazzi di strada».

LABORATORI E FESTIVAL - Dal 2009 Giuditta realizza, in Italia e all’estero, diversi laboratori di fotografia stenopeica, sia nelle scuole che presso centri di quartiere. La stenoscopia è un procedimento fotografico che sfrutta il principio della camera oscura per la riproduzione di immagini: la fotocamera è una scatola e l’obiettivo un foro posizionato al centro di uno dei lati. La fotocamera con foro stenopeico produce immagini poco nitide e, ovviamente, in bianco e nero.
«L’urban lab, attraverso tecniche di partecipazione, interazione ed azione, ci fa giungere ad un superamento dei luoghi impossibili, spesso invisibili limiti interpersonali. La fotografia stenopeica, in particolare, si presta totalmente ai nostri scopi da osservatori dello spazio pubblico: obbliga ad un tempo diverso nell’abitare il luogo da indagare, porta ad un diverso osservare – senza inquadrature e griglie digitali, induce a riflettere sul rapporto tra noi e ciò che sta intorno a noi. E, at last but not least, ci spinge ad interagire con lo spazio – fisico e delle relazioni – che ci contiene. Continuiamo a creare mappature, ma lo facciamo con immagini sfocate, spesso sbagliate, che contengono tutto il tempo dell’azione e lo restituiscono in bianco e nero».
I laboratori nelle scuole e nei vari centri di quartiere, liguri e non, sono stati una conquista che Giuditta definisce come “piccolo miracolo”. «In Italia è molto difficile riuscire a fare entrare l’arte pubblica nelle scuole, soprattutto quando – come nel nostro caso – si è un collettivo indipendente e si compiono azioni urbane. La fotografia stenopeica si è rivelata, anche in questo, mezzo d’eccellenza: comporta una fase d’atelier, che la didattica richiede, stimola le dinamiche di gruppo e porta alla produzione di un oggetto che è segno e traccia del percorso svolto; nulla può essere più apprezzato e compreso da chi si occupi di educazione».
I risultati dei lavori svolti negli urban lab, nelle scuole e nei centri sociali sono stati presentati in svariate mostre e festival, tra cui la rassegna Movimentazioni a Palazzo Ducale. A maggio Impossible sites parteciperà anche alla biennale d’arte africana Dak’Art.
«Alla biennale porteremo una delle nostre letture stenopeiche: alcune delle immagini realizzate a Dakar negli ultimi 2 inverni, con i ragazzi di strada, i bimbi della scuola elementare, i ragazzi disabili, gli studenti di architettura, verranno restituite ai cittadini, in diversi punti della città. Sotto forma di affiches, dimensione manifesto pubblicitario, i luoghi impossibili individuati compariranno sul muro dello stadio “Demba Diop” di Dakar e alla Mairie della Medina; tutti coloro che hanno preso parte ai laboratori saranno invitati a creare con noi l’evento di apertura, veri protagonisti del momento collettivo. Parallelamente, esporremo presso un centro socioculturale, molto e bene attivo, nel quartiere di Point E.
Tentiamo, sempre, di mantenere vivo e centrale il nostro legame con la strada, qualsiasi sia l’ambito in cui ci troviamo ad agire o esporre. In questo caso, siamo riusciti davvero a trovare una formula espositiva coerente e sincera: molti degli autori degli scatti stenopeici sono ragazzi di strada, è a loro che dedichiamo questa nostra “mostra fuori dalla galleria”».

Scritto da Patrizia Monzani
Pubblicato il 06 apr 2010

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